CANTO DEI MALFATTORI 

Appare per la prima volta su “L’amico del popolo” del 19 maggio 1892, periodico socialista anarchico fondato a Milano da Pietro Gori e più volte sequestrato dalla polizia. Questo bellissimo canto di Attilio Panizza è allo stesso tempo un manifesto politico dell’anarchismo che tende a rivoltare l’accusa di “malfattori” che lo stato vuole appiccicare addosso agli internazionalisti: il tentativo di marchiare come “malfattori” gli anarchici si sviluppa soprattutto dopo l’attentato di Passannante al re Umberto I (Napoli, 17 novembre 1878). Il “canto dei malfattori” riprende il termine spregiativo e, facendolo proprio, grida in faccia ai potenti che, si, malfattori sono tutti coloro che lottano per la giustizia sociale e contro chi sfrutta il lavoro appropriandosi dei frutti dei lavoratori; “malfattori” sono coloro che combattono l’impostura religiosa e quelli che propugnano la libera unione e non domanda riti né lacci coniugali; “malfattori” sono coloro che propugnano l’internazionalismo e combattono tutte le guerre, rifiutano le leggi in quanto strumento di frode utilizzate dai potenti contro i lavoratori.


Canto dei malfattori

Ai gridi ed ai lamenti di noi plebe tradita
la lega dei potenti si scosse impaurita
e prenci e magistrati gridaron coi signori
che siam degli arrabbiati, dei rudi malfattori.

Folli non siam né tristi né bruti né birbanti
ma siam degli anarchisti pel bene militanti;
al giusto al ver mirando strugger cerchiam gli errori
perciò ci han messi al bando col dirci malfattori.

Deh t’affretta a sorgere o sol dell’avvenir:
vivere vogliam liberi non vogliam più servir.

Noi del lavor siam figli e col lavor concordi
sfuggir vogliam gli artigli dei vil padroni ingordi
che il pane han trafugato a noi lavoratori
e poscia han proclamato che siamo malfattori.

Natura comun madrea niun nega i suoi frutti
e caste ingorde e ladre ruban que ch’è di tutti.
Che in comun si viva si goda e si lavori!
Tal’è l’aspettativa ch’abbiam noi malfattori.

Deh t’affretta a sorgereo sol dell’avvenir
vivere vogliam liberi non vogliam più servir.

Chi sparge l’impostura avvolto in nera veste,
chi nega la natura sfuggiam come la peste,
sprezziam gli dei del cielo e i falsi lor cultori,
del ver squarciamo il velo, perciò siam malfattori.

Amor ritiene uniti gli affetti naturali
e non domanda riti né lacci coniugali
noi dai profan mercati distor vogliam gli amori,
e sindaci e curati ci chiaman malfattori.

Deh t’affretta a sorgere o sol dell’avvenir
vivere vogliam liberi non vogliam più servir.
Leggi dannose e grame di frode alti stromenti
secondan sol le brame dei ricchi prepotenti,
dan pane a chi lavora onor a sfruttatori,
conferman poscia ancora che siamo malfattori.

La chiesa e lo stato, l’ingorda borghesia
contendono al creato di libertà la via,
ma presto i dì verranno che papa, re e signori
coi birri lor cadranno per man dei malfattori.

Divise hanno con frodi città, popoli e terre,
da ciò gl’ingiusti odi che generan le guerre;
noi che seguendo il vero gridiamo a tutti i cori
che patria è il mondo intero, ci chiaman malfattori.

Allor vedremo sorgere il sol dell’avvenir,
in pace potrem vivere e in libertà gioir.

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