PER I MORTI DI REGGIO EMILIA

La canzone è composta da Fausto Amodei. La strage fu l'apice di un periodo di alta tensione in tutta l'Italia, in cui avvennero scontri con la polizia. i fatti scatenanti furono la formazione del governo Tambroni, monocolore democristiano con il determinante appoggio esterno del movimento sociale, e l'avallo della scelta di Genova (città partigiana, medaglia d'oro della resistenza) come sede del congresso del MSI. Le reazioni d'indignazione furono molteplici e la tensione in tutto il paese provocò una grande mobilitazione popolare. il presidente del consiglio, Fernando Tambroni, dà alla polizia ed ai carabinieri libertà di aprire il fuoco in "situazioni di emergenza" ed alla fine di quelle settimane drammatiche si contano undici morti e centinaia di feriti. queste drammatiche conseguenze avrebbero poi costretto alle dimissioni il governo.
La sera del 6 luglio la C.G.I.L. reggiana proclama lo sciopero cittadino di protesta contro le violenze dei giorni precedenti. la prefettura proibisce gli assembramenti nei luoghi pubblici e concede unicamente i seicento posti della sala verdi per lo svolgimento del comizio. l'indomani partecipano al corteo di protesta circa 20.000 manifestanti. un gruppo di circa 300 operai delle officine meccaniche reggiane decide di raccogliersi davanti al monumento ai caduti, cantando canzoni di protesta. alle 16.45 del pomeriggio una carica di un reparto di 350 poliziotti, al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico, si scatena contro la manifestazione pacifica. anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. incalzati dalle camionette, dai getti d'acqua e dai lacrimogeni, i manifestanti cercarono rifugio nel vicino isolato san Rocco, per poi barricarsi letteralmente dietro ogni sorta di oggetto trovato, seggiole, assi di legno, tavoli dei bar e rispondendo alle cariche con lancio di oggetti. respinte dalla disperata resistenza dei manifestanti, le forze dell'ordine impugnarono le armi da fuoco e cominciarono a sparare. sul selciato della piazza cadono:

Lauro Farioli (1938), operaio di 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino.

Ovidio Franchi (1941), operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti.

Marino Serri (1919), pastore di 41 anni, partigiano della 76a, primo di sei fratelli.

Afro Tondelli (1924), operaio di 36 anni, partigiano della 76a SAP, è il quinto di otto fratelli.

Emilio Reverberi (1921), operaio di 39 anni, partigiano nella 144a brigata Garibaldi, già commissario politico nel distaccamento " Amendola".

Vengono sparati 182 colpi di mitra , 14 di moschetto e 39 di pistola. sedici i feriti "ufficiali", ovvero quelli portati in ospedale perché ritenuti in pericolo di vita, ma molti altri preferiscono curarsi clandestinamente, allo scopo di non farsi identificare.

I risvolti processuali:
In seguito ai fatti di Reggio Emilia in data 29 novembre 1962 la sezione istruttoria della corte d'appello di Bologna rinvia a giudizio il vicequestore Giulio Cafari Panico per omicidio colposo plurimo: "(…)omettendo per imprudenza, negligenza ed imperizia, di prescrivere le modalità e l'uso delle armi, provocando così, per l'indiscriminato uso delle armi, la morte di quattro persone: Emilio Reverberi, Ovidio franchi, Lauro Farioli e Marino Serri".
L'agente Orlando Celani viene invece imputato d'omicidio volontario per aver sparato contro Afro Tondelli. per motivi di legittima suspicione il dibattimento venne celebrato avanti la corte d'assise di Milano e non a Reggio Emilia. la sentenza venne pronunciata il 14 luglio 1964. Il vicequestore fu assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto, mentre l'agente venne assolto con formula dubitativa. due anni dopo la corte d'assise d'appello riformò la sentenza assolvendo l'agente con formula piena.
Gli eredi di afro tondelli e Lauro Farioli portano in giudizio il ministero dell'interno per il risarcimento dei danni: nel 1969 il tribunale di Bologna, territorialmente  competente riconosce la responsabilità civile il ministero dell’interno.


Per i morti di Reggio Emilia


Compagno cittadino, fratello partigiano
teniamoci per mano in questi giorni tristi:
di nuovo a Reggio Emilia, di nuovo là in Sicilia
son morti dei compagni per mano dei fascisti.

Di nuovo come un tempo sopra l’Italia intera
urla il vento e soffia la bufera.

A diciannove anni è morto Ovidio Franchi
per quelli che son stanchi o sono ancora incerti.
Lauro Farioli è morto per riparare il torto
di chi s’è già scordato di Duccio Galimberti.

Son morti sui vent’anni per il nostro domani:
son morti come vecchi partigiani.

Marino Serri è morto, è morto Afro Tondelli,
ma gli occhi dei fratelli si son tenuti asciutti.
Compagni sia ben chiaro che questo sangue amaro
versato a Reggio Emilia è sangue di noi tutti:

sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi,
come fu quello dei fratelli Cervi.

Il solo vero amico che abbiamo al fianco adesso
è sempre quello stesso che fu con noi in montagna
ed il nemico attuale è sempre e ancora uguale
a quel che combattemmo sui nostri monti e in Spagna,
uguale è la canzone che abbiamo da cantare:
scarpe rotte e pur bisogna andare.

Compagno Ovidio Franchi, compagno Afro Tondelli
e voi: Marino Serri, Riverberi e Farioli,
dovremo tutti quanti aver, d’ora in avanti,
voialtri al nostro fianco per non sentirci soli.

Morti di Reggio Emilia uscite dalla fossa,
fuori a cantar con noi bandiera rossa.

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