LA BOJE

La Boje è il nome con cui viene ricordato il moto contadino del periodo 1884-1886.                             
La condizione in cui versavano i contadini: bassissimi i salari, lunga la giornata di lavoro, sempre negato dai proprietari qualsiasi miglioramento economico, la ancor più drammatica situazione dei braccianti per i quali la disoccupazione veniva solo momentaneamente fugata da impieghi stagionali o saltuari. L’inondazione dell’Adige del 1882; la diminuzione del lavoro e di salario delle aziende agricole, la scarsità del raccolto del 1883, il ribasso del prezzo del grano e del riso dovuto alla concorrenza del mercato russo-americana provocarono un’agitazione spontanea, ma compatta e collettiva. In questa atmosfera nel 1884 si scatena lo  sciopero nella provincia di Rovigo: al grido “ La boje e de boto la va fora" (cioè bolle e fra poco trabocca,  riferito alla pentola piena), il primo grande sciopero nel nord Italia. Il grido “La Boje”, lanciato dai braccianti del Polesine diventa grido di battaglia di tutti i lavoratori affamati e minati dalla pellagra e si diffonde presto verso il mantovano e nell’oltre Po Emiliano, alla fine le adesioni arriveranno a circa 40.000.
Il Prefetto di Rovigo , nel 2° trimestre 1884, scrive che gli scioperi erano rivolte di affamati causate «dalle angustie dei braccianti». Favore¬voli agli scioperi erano le sinistre repubblicane, ma l'ispirazione più dirompente veniva dagli internazionalisti.  
«La setta internazionale», continua il rapporto informati¬vo del Prefetto, «addimostra sempre crescente attività nel suo sordo lavorio e si attacca a qualsiasi congiuntura per viappiù affermarsi, ne tralascia di soffiare fra i contadini, i braccianti, per spingerli agli scioperi». Gli internazionalisti miravano ad influire sulla Società di Mutuo Soccorso, fra contadini e braccianti, mediante la stampa. «Il Pane» fondato dalla corrente anarchica dei Repubblicani e «Il Barababao» che predicano la guerra civile. Il partito anarchico rivoluzionario di Forlì, scrive il Prefetto di Rovigo, trovò mezzo per distribuire in questa provincia più di mille copie del suo programma che tende a mettere l'anarchia nel Paese. «Viva La Rivoluzione» «Propaganda socialista fra contadini» opuscoli di ispirazione anarco-socialista di Errico Malatesta e di F. Saverio Merlino.
Lo sciopero inizia a Polesella e a Crespino e si estende nei Comuni del Polesine.  Al grido de «La Boje» entrano in sciopero nei primi mesi del 1885 i lavoratori del mantovano; del modenese e di Bondeno nel ferrarese. Successivamente lo sciopero si estende alle Province di Cremona e di Padova. Lo sciopero si conclude con il Processone che avrà luogo all'Assise di Venezia nel Febbraio-Marzo 1886, contro i proletari agricoli mantovani iscritti alla Società di Mutuo Soccorso (fondata da Eugenio Sartori) e alla Associazione Generale dei Lavoratori Italiani (Francesco Siliprandi e Giuseppe Barbini) considerate come «associazione a delinquere» e organizzatrici delle agitazioni agrarie del 1884-85.
Un appello rivolto ai braccianti e contadini dal Comitato promoto¬re, stampato il 9 giugno 1884, dal Regio Stabilimento Tipografico Provinciale A. Minelli in Rovigo traccia un programma di iniziative e cioè: «Tenere conferenze in ogni villaggio (...) affine di comporre il dissidio economico che affatica il mondo civile e minaccia capitale, lavoro e progresso... Reclamare equi patti fra coloni e proprietari.
Instituire associazioni di braccianti e col denaro messo insieme adire gli appalti pubblici e privati affinchè i profitti rimangano nelle tasche di chi lavora e consolino le famiglie del proletariato».
 «Il movimento divenne imponente per numero, si concluse con 220 arresti. A Castelguglielmo i contadini, marciarono anche contro i carabinieri: Il contadino ha perduto ormai il rispetto pel padrone proprietario: i 220 arrestati condannati sortiranno dal carcere col fiele nell'animo perchè essi e le loro famiglie non hanno guadagnato nella mietitura: il contadino legge pessimi giornali che predicano la guerra civile e seminano l'odio fra le classi sociali. Si sentono i contadini sortire con espressioni infami come questa: questo inverno giocheremo alle bocce colle teste dei signori» (relazione Prefetto).
In alcuni Comuni del Polesine la reazione padronale è dura e violenta,   gruppi di agrari non solo denunciano centinaia di lavoratori ai carabinieri, ma vanno a prenderli, muniti di fucili da caccia nei loro miseri tuguri per accompagnarli nelle caserme. In testa a tutti si sono distinti gli agrari di Castelguglielmo, che assieme al Sindaco e alla Giunta, chiamano un drappello di carabinieri nell'intento di proteggere i crumiri. Questo provoca la ribellione dei lavoratori della grande azienda «Pelizzare» portatisi in piazza a manifestare al grido de «La Boje»».
Il Prefetto che aveva redatto e fatto affiggere in tutta la provincia un manifesto provocatorio con il quale chiedeva ai lavoratori di finirla con lo sciopero e che «vi erano cartucce e baionette per mettere a dovere i ribelli», mandò immediatamen¬te sul posto un drappello di carabinieri; in accordo con i possidenti rivolse un appello al Ministro dell'Interno affinché si inviassero altri soldati e altri carabinieri nel Polesine che raggiunsero la cifra di 5.000. È un disegno preparato quello di Castelguglielmo per far scontrare le forze dell'ordine pubblico con i braccianti in sciopero! Tutto lo fa pensare: dalle misure cosiddette precauzionali prese dalla Giunta di Castelguglielmo al manifesto tracotante e minaccioso del Prefetto, dallo svolgimento dei fatti alla montatura sapiente e calcolata del processo. La provocazione scatta quando un bracciante grida «viva la Repubblica». I carabinieri lo arrestano. L'atto solleva la protesta e la rabbia della massa, che reagisce tentando di liberare il lavoratore fermato. Lo scontro porta alla sparatoria dei carabinieri sui manifestanti. Il bilancio è costituito da una decina di lavoratori colpiti da proiettili sparati dai carabinieri e dal ferimento di due di loro con arma da taglio. Segue la repressione e la caccia all'uomo condotta dai carabinieri e da un drappello di soldati armati inviato sul posto dal Prefetto di Rovigo. Vengono arrestati, prima tutti i feriti e poi continua la ricerca e gli arresti nelle campagne e nelle case dei braccianti. Gli arrestati superano il centinaio e vengono legati fra loro con grosse corde e spediti nelle patrie galere. Lo sciopero è represso. I salari vengono imposti dai padroni senza discussione, mentre molti lavoratori che avevano avuto maggior parte nella preparazione dello sciopero sono lasciati senza lavoro.
Il Polesine ed il mantovano che erano stati teatro principale de «La Boje» diventano i centri della repressione padronale e di Stato.
Vengono imbastiti processi, soltanto nel 1884 ne furono celebrati 32 con 160 condannati. Il processo per i fatti di Castelguglielmo ebbe inizio il 5 marzo 1885 nella Sala delle udienze pubbliche della Corte d'Assise di Rovigo. Durò 15 giorni e si concluse con 7 condanne: una a 20 anni di lavori forzati, un'altra a 10 anni, 3 a 5 anni e 2 a 4 anni di carcere.
Furono ascoltati, fra accusa e difesa 44 testimoni e chiamati alla sbarra 25 lavoratori, tutti in stato d'arresto. Si tratta di 13 contadini, 2 bovari, 3 piccoli possidenti, 3 tessitori, 2 vallivi, 1 calzolaio e 1 pescatore. La composizione sociale degli accusati e la media della loro età, che non supera i 34 anni, dimostra come ormai si vada facendo strada, fra le giovani generazioni, una coscienza politica e morale, che rifiutando la mortificante rassegnazione, trova nella lotta contro i soprusi e la miseria una nuova speranza di vita. È un processo preparato con false testimonianze raccolte con meticolosa e paziente perseveranza da un apparato pubblico e poliziesco che deve dare una lezione dura e significativa, a chiunque osi sfidare il potere costituito.
Il prezzo che pagano i 7 lavoratori condannati è altissimo, si tratta di lavori forzati e di dura galera, ma per gli altri 18 assolti nel Polesine non vi è più lavoro e per mangiare devono scappare all'estero.
Secondo Vittorio Tomasin e diffuso ricordo orale  “il luogo dove avrebbe avuto origine la rivolta è localizzato a Ceregnano, in località Pezzoli, punto primo di ritrovo un’osteria all’entrata del paese sulla strada che arriva da Ceregnano “. 1 A supporto della tesi di Tomasin c'è il fatto che la parola "la boje" - (cioè [essa] bolle riferita alla pentola in ebollizione - fa parte del dialetto veneto/polesano: "La boje, e de boto la va fora" (Bolle, e fra poco trabocca). A conferma ulteriore della tesi principe, risultata negli anni l'unica saldamente fissata da documenti storiografici, tutt'ora anziani della zona montagnanese (nel Padovano) continuano a trasmettere oralmente il detto "la boje" come esclamazione di giubilo o di disappunto.
 Lo sciopero iniziò il 15 giugno 1884 a Polesella e a Crespino.
“Avvicinandosi i giorni della mietitura si seppe che in molti paesi i contadini s’eran data intelligenza di non dar opera al taglio del frumento”.
 
1 “La boje in Polesine”.Vittorio Tomasin

 

LA BOJE

L'Italia l'è malada
Sartori l'è el dûtûr
Per far guarir l'Italia
tajem la testa ai sciûr

La boje,la boje
e de boto la va fora

La boje,la boje
e de boto la va fora

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